Le registrazioni presenti nei 4 volumi (Archivio Storico della Città di Torino: Porta Dorania, Coll. V, n. 1031; Porta Marmoria, Coll. V, n. 1026, Porta Nova, Coll. V, n. 1030, Porta Pusterla, Coll. V, n. 1028) risultano essere complessivamente 734 (delle quali una sdoppiata: Nova, f. 87v.), ma 21 di queste sono da considerarsi nulle, in quanto redatte in data successiva (Dorania, ff. 13r. e 85v., Nova, 18v.) o consistenti in inserti privi di data (Marmorea, inserto 52/53), o risultanti duplicati (Marmoria, ff. 3v., 3v., 4r., 25v., 38v., 56v., 64r., 74r., 111v., 111v, Nova, ff. 19r., 90r., Pusterla, ff. 84r., 89r., 101r., 106r. e inserto f. 51).
In prima approssimazione le 713 dichiarazioni si possono imputare a soggetti imponibili, rappresentanti altrettanti nuclei familiari, che si possono supporre come minimo composti da 4/5 componenti ciascuno, un valore, che dovrebbe garantire la stabilità demografica della città, tenuto conto anche dell’elevato tasso di mortalità infantile dell’epoca.
Tuttavia, non tutte le 713 dichiarazioni possono essere considerate rappresentative di altrettanti nuclei familiari, poiché 141 sono rese da soggetti in rappresentanza, in via esclusiva o concomitante, di quelli fiscalmente imponibili, a seconda delle circostanze in qualità di administratores, gubernatores, curatores, procuratores, tutores o genericamente agenti in nomine et vice dei soggetti stessi.
Dall’analisi di quelle fra le 141 dichiarazioni, che riportano la composizione familiare dei soggetti imponibili, a cui si riferiscono, indicando presumibilmente il nome di tutti i componenti e assegnando il valore minimo di 2 a quelle che si limitano ad una generica formulazione (fratres, heredes, filii) ed escludendo la generica rappresentanza (in nomine et vice), quando non esplicitamente significativa per il fine perseguito dalla ricerca in atto, la media del nucleo familiare tipo risulta essere per l’appunto di quattro: due coniugi e due figli.
Al riguardo va tenuto presente, però, che ben 96 occorrenze delle 141 prese in esame comprendono esclusivamente nomi maschili, 24 nomi esclusivamente femminili, mentre solo 9 si riferiscono esplicitamente a fratelli e sorelle, ciò che fa supporre un occhio di riguardo da parte dei dichiaranti verso il “sesso forte”, del resto giustificabile nella cultura anche giuridica dell’epoca, che propendeva a limitare la partecipazione del “gentil sesso” all’asse ereditario e, di conseguenza, induce ad ampliare la media di componenti per nucleo familiare.
Per quanto riguarda le 572 dichiarazioni dirette dei soggetti imponibili, non ci sono elementi sufficienti né per apportare considerazioni significative sulla composizione del nucleo familiare tipo (18 sono le dichiarazioni rese da una coppia di fratelli, 2 da una coppia di sorelle, 1 da una coppia mista di fratello e sorella, nessuna da un numero superiore a due, a conferma della ridotta composizione del nucleo familiare, ma anche dell’attenzione privilegiata nei confronti dei maschi) né sul numero di “fuochi” da esse rappresentati, poiché ciascun dichiarante poteva essere un single o essere coniugato con o senza prole.
Non sono stato in grado di fare un confronto puntuale, caso per caso, tra questi dichiaranti e quelli precedenti, degli anni 1349/50, ma da un controllo sommario risultano circa 140 individui che hanno registrato la dichiarazione sia nel biennio 49/50 sia nel 1363 (circa il 28%, che, tenuto conto della diversa composizione dei dichiaranti nei due periodi di riferimento, sale a oltre il 32%). Anche il confronto con i nomi che compaiono negli Ordinati per l’anno 1365, il più prossimo in nostro possesso (Libri Consiliorum 1365-1369, ASCT, Torino, 2000) e con gli estimi del 1369 fa supporre che un numero consistente dei dichiaranti del 1363 fossero in età “matura” e quindi riflettessero un nucleo familiare.
Dall’insieme di queste considerazioni, si può fondatamente supporre che le 572 dichiarazioni dirette, che assommano almeno a 886 persone (almeno, perché alcune contengono espressioni indeterminate, come heredes, filiii, fratres), unitamente alle 141 dichiarazioni “per rappresentanza”, che assommano almeno a 259 persone (almeno, per gli stessi motivi), si riferissero a valori superiori alle 2.500 persone, avvicinandosi alle 3.000.
D’altra parte, anche un approccio grezzo e minimale al problema demografico della Torino trecentesca sulla base dei libri dei “consegnamenti” porta a risultati comparabili per ordine approssimativo di grandezza: assegnando, infatti, il coefficiente 4 ai dichiaranti presumibilmente rappresentativi di un nucleo familiare e il valore risultante dalle dichiarazioni per gli altri dichiaranti, ci si avvicina alle 2.500 persone (2374, per la precisione), che rappresenta la base minima della popolazione, aderente quasi alla lettera alle 713 dichiarazioni prese in considerazione.
Tuttavia, le 141 dichiarazioni “per rappresentanza” consentono anche di individuare altre persone, habitatores o habitantes Taurini, che intervengono nell’atto: si tratta dei rappresentanti (12) e dei testi presenti all’atto dichiarativo (23), il cui nome non trova riscontro tra i soggetti imputabili. Queste persone non spostano in modo significativo il numero degli abitanti la città. Portano, infatti, da 1.145 a 1.180 i nomi presenti e, applicando, un criterio meramente proporzionale, da 2374 a 2447 la stima minimale della popolazione della città, ma la loro presenza apre la breccia per porsi una domanda chiave. I nomi contenuti nelle dichiarazioni sono esaustivi o solo indicativi e, in questo caso, in quale misura, al fine di stimare la popolazione?
Due sono le direttrici di ricerca al riguardo, l’una interna, l’altra esterna: da un lato, comparare i 1.180 nomi acquisiti con quelli contenuti negli stessi estimi relativi ai ficta dichiarati e alle coerenze delle proprietà denunciate, dall’altro, quello di comparare i 1.180 nomi acquisiti con quelli contenuti negli Ordinati più prossimi (1365-1369.
Partendo da quella interna, l’analisi dei ficta dichiarati, (551 quelli passivi e 258 quelli attivi in totale, di cui rispettivamente 155 e 255 appartenenti alla società civile), tra i quali, attraverso un accurato e selettivo confronto con i 1.180 nomi di cui sopra, ho, per così dire, distillato 55 nomi (esclusi gli heredes, che pur ammontano a 18 nomi familiari privi di riscontro), che non trovano coincidenza con questi, portando il loro numero a 1218 e, tenuto conto delle indicazioni ivi riscontrate, il numero complessivo presunto degli abitanti a 2.575.
Il confronto con le coerenze delle proprietà immobiliari extra ed intramurarie (12.446 quelle riportate), presenta maggiore difficoltà ed incertezza. Infatti, le registrazioni in questa materia tendono ad essere ripetitive e sintetiche, quindi poco aggiornate (molto spesso si fa riferimento generico ad un precedente proprietario, ormai defunto e non sempre indicato come tale, senza individuare le attuali proprietà ripartite fra gli eredi). Tuttavia, facendo riferimento a quelle appartenenti alla sola società civile, escludendo la generica formulazione heredes ed eliminando quanto più possibile le duplicazioni, dalle 1220 occorrenze significative, ho estratto 202 nomi individuali non coincidenti con quelli noti, che porta il numero degli individui a 1.420 e la stima proporzionale della popolazione a 3.002 abitanti.
Per quanto riguarda il confronto con gli Ordinati (1365-1369), la procedura è stata la seguente: dei 492 nomi presenti nell’Indice dei nomi del volume citato (Libri Consiliorum 1365-1369, pag. 227 e segg.) ne ho selezionati 387 ritenuti utili per il confronto con i 1420 già individuati. Il risultato è stato di notevole interesse sia sotto l’aspetto quantitativo sia sotto l’aspetto qualitativo.
Sotto l’aspetto quantitativo sono emersi 121 nomi non presenti nell’elenco precedente, dei quali 52 del tutto nuovi anche per il “cognome”, aumentando in egual misura il numero dei potenziali “fuochi”. Mantenendo lo stesso criterio proporzionale, la stima della popolazione sale quindi a 1489 individui e al totale di 3148, a cui debbono essere aggiunti i 52 “fuochi” (famiglie composte di 4 individui), che portano gli individui denominati a 1451 e la popolazione stimata a 3.356.
Sotto l’aspetto qualitativo va rilevato che quelle 52 nuove famiglie trovano riscontro soprattutto nelle cariche e negli incarichi di carattere più attinenti al contado, come la nomina a campari, la riparazione delle strade extraurbane, la fornitura di legna per le necessità principesche e di vettovaglie all’esercito.
Inoltre, va sottolineato che tra i dichiaranti v’erano certamente famiglie che avevano personale vario di servizio (dai cuochi agli sguatteri, dagli stallieri ai giardinieri, dalle lavandaie alle cameriere, ecc.), così come le attività commerciali e artigianali si avvalevano di garzoni, commessi, apprendisti. Tutte queste figure non appaiono nei documenti consultati. Dei primi ho tentato una stima sulla base dell’ammontare del contributo d’imposta assegnato ai 703 dichiaranti, che compaiono in queta lista, che oscilla tra le 80 e le 200 persone, a seconda dei criteri statistici prescelti, le seconde probabilmente sommavano a qualche decina di persone.
Infine, tra gli abitanti della città va anche aggiunto il personale ecclesiastico, che gestiva le 24 parrocchie ed era presente nei tre monasteri intramurari, oltre al personale episcopale, che si affiancava a quello, per quanto ridotto potesse essere, comitale e vicariale.
L’insieme di queste persone porta la popolazione della città sicuramente al di sopra delle 3.500, avvicinandola piuttosto alle 4.000.
Arrivato a questo punto m’è sorta spontanea una domanda: ma chi lavorava la terra dichiarata nei “catasti”?
In una economia, il cui Pil dipendeva, penso, per il 70-80% dall’agricoltura, fermarci a questo punto evidenzia lo stesso errore deformante de “I promessi sposi”, dove i personaggi sono operai, preti, suore, monaci, nobili e nobilotti, sgherri, ma braccianti e contadini sono pressoché ignorati.
Il Comune di Torino non consisteva soltanto nella città cinta dalle mura, ma comprendeva il territorio rurale che la circondava e da cui traeva buona parte della propria condizione di vita: non a caso i “catasti” nel dichiarare la propria funzione, fanno riferimento alle dichiarazioni de bonis et rebus ipsorum que habent tenent et possident in civitate finibus territorio et districtu civitatis Taurini.
E proprio l’analisi degli “Ordinati” evidenzia, almeno in parte, questa deformazione: in essi, infatti, sono presenti persone non comprese fra i dichiaranti, che erano sicuramente cittadini torinesi, poiché ricoprivano cariche e incarichi comunali (Libri Consiliorum 1365-1369: campari, pagg. 22-23, 88, 215-216; riparazione strade ultra Padum, pagg. 17-18, 203-204, vigilanza notturna pagg. 58, 186; fortificazione della città, pagg. 78-79; fornitura di legna alla principessa e al vicario, pagg. 118-110, trasporto di vettovaglie per l’esercito, pagg. 157-159), che probabilmente non abitavano in città.
Un’altra indicazione di una popolazione sparsa nel contado è data da alcuni toponimi che si ritrovano negli estimi catastali citati: non solo il burgus Coleasche e il burgus Sancti Donati, ma il Castellum Ocheti, il Castrum Nechi, il Claussum Rossignoli, le Fornaces, la mota de Aynardis e la mota Sancti Petri de Doaxio, la ripa Iudeorum, i tecti Alamannorum, de Losta e Viglodi, nonché altre località quali Luxentum, Puteum Strate, Sanctus Nicolaus de molinis, Stiraschum, Vicus Beconi, Vialbe, probabilmente la stessa Bastida e le bicoche Pellerine e Sturie.
Prendendo in considerazione unicamente la terra tra le coltivazioni dichiarate nei “catasti” del 1363, le giornate di arativo assommano a oltre 6.000, a cui bisogna aggiungere le proprietà non soggette ad imposizione fiscale, prevalentemente quelle ecclesiastiche. Una stima approssimativa di queste l’ho ottenuta comparando le coerenze “non imponibili” indicate con il totale delle coerenze: il risultato, che ne ho ricavato è che circa l’11% dei terreni dichiarati confinavano con terreni non soggetti a tassazione, dal che ho dedotto che i terreni dichiarati dovessero essere aumentati della stessa misura, ottenendo poco meno di 7.000 giornate di arativo.
Tenendo conto che sono censite oltre 13.000 giornate, di cui oltre 1.000 di alteno e vigna, mi sono domandato quanti nuclei familiari-tipo (composti di 4 persone) fossero necessari per coltivare quelle quasi 7.000 giornate di terra, ipotizzando rispettivamente il limite di 10 e di 20 giornate per nucleo. Detratte le 52 famiglie già conteggiate dall’analisi degli Ordinati, risultano essere rispettivamente 2.500 e 1.100 persone circa, che rettificate con i dati derivanti dall’analisi fini qui condotta sono ridotti rispettivamente a 1.426 e 644 persone.
In sintesi, nell’ipotesi minimale 4.000 abitanti, in quella, che ritengo più attendibile, 5.500. Di queste 3.500/4.000 vivevano in città e 1.500/2.000 nel contado.
Di queste ultime una parte oscillava tra città e campagna. Significativo può essere in tal senso il fatto che gli edifici adibiti presumibilmente ad abitazioni civili si avvicinassero alle 900 unità (poco più di 14 per ciascuno dei 62 isolati utilizzati a tal scopo, una abitazione ogni 440 mq circa di superficie utile, curtis et similia compresi), delle quali non siamo in grado di ipotizzare la dimensione, ma sappiamo che superavano per numero i dichiaranti.
Un’altra parte risiedeva in comuni limitrofi (Grugliasco, Beinasco, per esempio) prossimi ai terreni da lavorare, un’altra parte ancora nei centri rurali sopra indicati e in abitazioni sparse soprattutto in collina. Infine, mi sono fatto l’idea che anche presso i vari monasteri e le numerose chiese e hospitales, che punteggiavano il territorio torinese, potessero esservi abitazioni contadine.
L’interesse per stimare la popolazione della città non è solo originato da una ragione storico-demografica, ma anche da una ragione socio-economico.
Sulla base delle imposte assegnate a ciascun contribuente, infatti, è possibile calcolare l’indice di Gini, che, ad un primo approccio, per i 703 “soggetti contribuenti” di cui abbiamo i dati, risulta posizionato a 0,58, denotando una concentrazione della ricchezza e presumibilmente del reddito piuttosto elevata, ma se, come penso, i “soggetti contribuenti” non rappresentavano che la metà della popolazione effettiva, quella possidente, il valore dell’indice diventa 0,79, denotando una concentrazione decisamente molto elevata della ricchezza e, presumibilmente, del reddito.
È questo un esempio appena abbozzato di quanto si possa trarre dal database da me costruito, ma altri dati si possono da esso desumere riguardanti la ricchezza mobiliare e immobiliare, quella rurale e quella urbana, quella laica e quella ecclesiastica, le categorie economiche di rendita, interesse, il prelievo tributario diretto e molto altro e questo spero di poter proseguire nell’analisi, cercando al contempo di descrivere il territorio della città con i toponimi d’epoca con cui era individuato, che era, illo tempore, l’obiettivo che mi ha spinto in questa impresa e, per inciso, di costruire un glossario specifico sull’argomento.
Le proprietà ecclesiastiche
le rendite ecclesiastiche
l’indice di Gini dei contribuenti sulla terra e sulle imposte
Contents
Notai nel 1363
Le dichiarazioni presenti nei libri dei “consegnamenti” hanno una struttura formale e ripetitiva. Esse iniziano con un preambolo, che individua il dichiarante, cui fa seguito l’elenco dei beni posseduti, generalmente prima gli edifici poi i terreni e, infine, altre attività economiche soggette a tassazione, e si concludono con una formula sanzionatoria, seguita dalla somma imputata. Esse sono redatte e suggellate da un notaio.
Economia di Torino nel 1363
La funzione essenziale delle registrazioni contenute nei libri dei “consegnamenti” è di determinare l’importo da attribuire al dichiarante pro honeribus talearum supportandis, ossia al fine impositivo. Perciò le dichiarazioni si concludono normalmente, tranne alcune eccezioni, con la formula di rito, che comprende un primo importo di carattere “oggettivo”, in quanto dipendente dalle componenti dichiarative che lo precedono (principalmente diritti immobiliari e fondiari, in prima approssimazione oltre il 90% del totale degli oggetti imponibili), una integrazione pro mobile iuxta forma capitali, aggiunta per sapientes e de voluntate del dichiarante, quindi concordata e perciò di carattere “soggettivo”, e, infine, la somma dei due precedenti importi, ossia la somma effettiva da pagare.
I 4 volumi (Archivio Storico della Città di Torino: Porta Dorania, Coll. V, n. 1031; Porta Marmoria, Coll. V, n. 1026, Porta Nova, Coll. V, n. 1030, Porta Pusterla, Coll. V, n. 1028) contengono 733 dichiarazioni, ma 21 di queste sono da considerarsi nulle, in quanto redatte in data successiva (Dorania, ff. 13r. e 85v., Nova, 18v.) o consistenti in inserti privi di data (Marmorea, inserto 52/53), o risultanti duplicati (Marmoria, ff. 3v., 3v., 4r., 25v., 38v., 56v., 64r., 74r., 111v., 111v, Nova, ff. 19r., 90r., Pusterla, ff. 84r., 89r., 101r., 106r. e inserto f. 51).
Delle restanti 712 dichiarazioni, 6 non contengono alcuna indicazione dell’imposta assegnata (Marmoria, ff. 26r., 27r., 86v., Pusterla, ff. 15 v., 65v., inserto 15r.).
Analisi dell’imposta
Delle 713 dichiarazioni contenute negli estimi catastali del 1363 (Archivio Storico della Città di Torino: Porta Dorania, Coll. V, n. 1031; Porta Marmoria, Coll. V, n. 1026, Porta Nova, Coll. V, n. 1030, Porta Pusterla, Coll. V, n. 1028) sei non contengono alcuna indicazione dell’imposta assegnata ai dichiaranti: l’analisi verterà, quindi, sulle 707 rimanenti.
Di queste 707 dichiarazioni solo 251 sono complete, mentre 456 mancano dell’elemento integrativo.
A tal proposito una prima considerazione deriva dalla correlazione fra le due serie: la prima e la seconda delle componenti dell’imposta, che si attesta a 0,98. Il valore elevatissimo della correlazione statistica sta ad indicare che la seconda variabile, quella dipendente dalla valutazione dei sapientes e dal consenso del dichiarante, tende a variare positivamente in funzione della prima.
Di fronte ad una tale correlazione statistica vengono spontanee due osservazioni: la prima riguarda il tipo di relazione esistente fra le due serie, la seconda pone, invece, l’attenzione sui valori difformi.
Quanto alla prima osservazione, c’è da interrogarsi se vi possa essere una relazione di causa ed effetto tra le due serie oppure se entrambe le serie non dipendano, in realtà, da un’unica causa esterna, comune ad entrambe, ma esterna ad esse.
Come precedentemente detto, la prima serie di dati, quella “oggettiva”, si presenta come la conseguenza degli oggetti imponibili precedentemente dichiarati, mentre la seconda, quella “soggettiva” invece, come una variabile dipendente dalla valutazione dei sapientes (gli incaricati dall’organo deliberante, rappresentante il potere politico cittadino) e dal consenso dei dichiaranti stessi.
Gli oggetti imponibili della prima serie consistono in prevalenza di beni immobili, in proprietà o in diritto d’uso, da cui si presume che possa derivare il reddito del dichiarante.
Una seconda osservazione
Correlazione
Cifre concordate
Minimo e massimo
Tripartizione
Sono i più ricchi che decidono
Il top dell’imposta attribuita spetta a Nicolaius et Rebaudinus filii Ludovici Becuti et Iacobus filius condam Iorgii Becuti
francescus filius condam anthonieti becuti
raynerius et andreotus filii condam franceschini becuti
riçardus becutus
anthonius becutus dictus comes
georgius filius condam iacobini becuti
bertolotus becutus
boniffacius becutus et iohannes et nicolinus nepotes
barnaba et iacobinus filii condam bertolomei becuti
vietus becutus
Iohannes cravinus, doranea 3r., additum 4 giornate di bosco, in cortacia, 1 lira acquistata da francescus becutus
Petrus corbellerius, d. 14 v., fitto perpetuo a iohannes iacherius per 1,5 giornate di vigna e alteno in salex per tre quartani di vino o 16 soldi (5,33 soldi per quarto, dovrebbe essere 21.33 per sestario.
Iacobinus ratotus, d. 17 v., a margine, una domus acquistata nel 1364, gravata di un fitto non indicato come perpetuo al monastero di s. Pietro delle monache di 6 denari bone monete, comporta la variazione di imposta di due lire (in antonio de hustolino non c’è alcuna ulteriore indicazione oltre la vendita), mezza giornata di vigna in valabruno di 20 soldi: le vigne sono valutate due lire d’imposta per giornata. Per la vigna il venditore è Petrus de ruvore, che fa la denuncia in comune con Brunetus e Martinus, ma è solo lui il venditore (la vigna in questione ha l’indicazione duas partes), quindi quelli che nella dichiarazione (in M. 97r.) risultano come tre fratelli (Brunetus fa la dichiarzione in nomine et vice degli altri due) hanno i beni separati. Ciò risulta anche dal resto della dichiarazione, infatti a fianco di alcune proprietà è indicata la lettera p, per Petrus, che almeno lui era proprietario esclusivo. Inoltre, molto importante, a fianco delle proprietà dichiarate, vi sono gli importi presumibilmente d’imposta assegnata, come segue:
stallum (1/3 a Brunetus, 2/3 a Martinus), lire 8
domus (Petrus), lire 14 (280 soldi)
forno (2/3 a Martino e 1/3 a Brunetto), lire 1 e soldi 15
domus (Martino), che a fianco ha scritto aggiunto ardicioni de gaxino da collegare ad affictatam per solidos 16 viannenses perpetuo, e ad essa è attribuita l’imposta di 2 lire e 8 soldi
domus per lire 2, forse da assegnare a martinus come sopra, forse, più probabile a brunetus, al quale risultano attribuiti in generale tutti i beni se non è specificato il proprietario, forse più probaile ancora a tutti e tre
domus, per 1 lira e 15 soldi, da assegnare come sopra, con fitto passivo al capitolo di Torino perpetuo solidos 5
stallum, per 12 soldi di imposta, assegnato a martino e brunetto, affittato a ignoto per 4 soldi
una pecia prati, senza dimensione, in petraficha, affittata in perpetuo per 10 soldi a perrutus damianus, per un’imposta di 1 lira e 10 soldi, da assegnare a martino
domus, da assegnare a martino e brunetto, affittata in perpetuo per 4 denari a perinus de capono, per una imposta di 2 soldi. Interessante notare che la rendita dell’affitto sia di 4 denari e l’imposta per valore della domus di 2 soldi (0,4 soldi per 2 soldi, ossia il 20%), ovvero che l’imposta sia 50 volte l’affitto, il che significa che il fitto perpetuo non rappresentava un’alienazione della proprietà, ma solo una cessione del possesso. Ciò vuol dire che tutti i doppioni tra proprietà e affittuari debbono essere assegnati al proprietario e non agli affittuari, ma allora perché dichiarano un fitto?
stallum, (due parti), da assegnare a petrus, per un’imposta di 4 lire, 10 soldi e 8 denari, ex quibus duabus partibus debet dare iohannino tenivello florenos XXI auri, se questo è il valore-prezzo di vendita è possibile calcolare in base fiorini la percentuale d’imposta (nel caso vi fosse equivalenza fra lire e fiorini, cosa tutta da dimostrare, la percentuale sarebbe 4.54/21 = 21.619%
una pecia di vigna e bosco, senza dimensione, in costa mora, assegnata a brunetto, affittata a peroninus cazola per 9 soldi e 1 cappone, valutata per l’imposta 1 lira e 9 soldi
30 giornate di bosco site a Monasterolo, assegnate a martino, affittate a certe persone de cherio per 4 lire e 10 soldi; il bosco, cui corrisponde un’imposta di lire 13 e 10 soldi; a monasterolo, parrebbe vicino a Chieri, ma non ho trovato riferimento; il suo fitto sarebbe 3 soldi a giornata e l’imposta sarebbe 9 soldi a giornata (l’imposta sarebbe tre volte il fitto)
In M. 97v.,
7 giornate di bosco, assegnate a petrus, site in dicto fine (Monasterolo, quindi), con una coerenza con preceptor sancti antgonii de cherio, per lire 1 e soldi 15 di imposta, (5 soldi a giornata)
40 giornate di bosco, assegnate a petrus, in eodem fine (Monasterolo), per lire 10 d’imposta (5 soldi a giornata)
8 giornate di bosco, assegnate a petrus, in dicto fine (Monasterolo), per lire 2 (5 soldi a giornata) d’imposta
11 giornate di bosco, assegnate a petrus, in dicto fine sancti martini ultra padum, per un’imposta di lire 2 e 5 soldi (4,09 soldi per giornata)
7 giornate di vigna e alteno in costamora, non assegnate (quindi o di brunetus, che è il dichiarante principale, o a brunetto e martino, che sembrano essere differenziati da petrus o a tutti e tre), per lire 14 (2 lire, ovvero 40 soldi in media per giornata)
1 giornata di vigna e una giornata di bosco, non assegnata, in costamora, in clauso di moziis (da tenere presente per le località abitabili della collina), per lire 2 e 5 soldi (in media 22,5 soldi a giornata)
1 giornata di alteno alla bastida, non assegnata, per lire 1 e 5 soldi (25 soldi a giornata)
due parti di una giornata di vigna, non assegnata, ma dovrebbe essere quella sopra descritta, poiché a margine c’è scritto mutata in registro ratoti ed è cancellata, (ma dovrebbe essere di petrus sula base di quanto sopra), per lire 1, 6 soldi e 8 denari d’imposta (26,66 soldi a giornata, che tenuto conto che si tratta di due parti, probabilmente su tre, dovrebbe essere di 40 soldi a giornata)
3,5 giornate di terra in fine barberini, non assegnate, per un’imposta di lire 1 e soldi 15 (10 soldi a giornata)
7 giornate di terra, in Vanchiglia, assegnate a petrus, confinanti con la Dora (flumen Durie), per un’imposta di lire 3 e 10 soldi (10 soldi a giornata)
5 giornate di prato, in Vanchiglia, assegnate a petrus, per 12 lire e 10 soldi d’imposta (50 soldi a giornata)
6 giornate di prato nello stesso sito di Vanchiglia, non assegnate, per 15 lire d’imposta (50 soldi a giornata)
4 giornate di prato, in Vanchiglia, non assegnate, per lire 10 (50 soldi a giornata
3 giornate di prato, ibi prope (quindi Vanchiglia o lì presso, non assegnate, coerenti con ipsi fratres, per lire 7 e 10 soldi (50 soldi a giornata)
9 giornate di terra, in Vanchiglia (quindi l’ibi prope di sopra è probabilmente Vanchiglia, confinanti con la Dora, assegnate a Pietro, per 3 lire e 2 soldi d’imposta, (6,88 soldi a giornata), gravate di un fitto passivo verso la canonica di Torino di 4 sestari di segala (siliginis) (5,44 sestari per giornata)
25 giornate di bosco, in Scandoleto, assegnate a Pietro, confinante con ipse brunetus et fratres, per 7 lire e 5 soldi d’imposta (5,8 soldi a giornata)
3 giornate di terra, ad paltacium, non assegnate, per lire 1 e 10 soldi (10 soldi a giornata)
Duas vachas, non assegnate, per lire 1 (prima due cancellato) (10 soldi a vacca, ma potrebbero anche essere 20, come da cancellatura, perché assegnabili solo in parte ai dichiaranti a cui sono assegnate, anche se non è scritto).
Segue la formula finale:
summa huius registri est lire centumquadragintaseptem (147)
item adjunctum fuit huic registro per sapientes pro eorum mobile lire III (3)
summa summarum dicti registri est lire centumquinquaginta (150)
i conti non tornano, la somma iniziale dovrebbe essere 150 lire 17 soldi e 6 denari (di cui 58 lire, 17 soldi e 8 denari da attribuire a Pietro, senza contare il fatto che due proprietà sono indicate come due parti, quindi o bisogna maggiorare il totale o diminuire l’attribuzione a Pietro) e il totale finale 153 lire, 17 soldi, 6 denari. (da rivedere calcolando 12 denari per soldo anziché 10)
inoltre, a margine, sono riportati i seguenti beni:
1,5 giornata di terra, acquistata da Franceschino di Gilio, per un’imposta di 1 lira e 10 soldi (questa pecia si ritrova al n° 1800, Franceschinus de gilio, M., 39, 20, ed è situata a san salvator, venduta nel 1366, quindi non interferisce con le somme del ’63)
Di seguito, quindi probabilmente nello stesso 1366, adictum fuit huic registro per una 1 giornata e 24 tavole di alteno, site oltre Po, acquistate a anthonio maçocho, per un importo d’imposta di lire 2. E trovano riscontro presso questo dichiarante, con le stesse coerenze, tutto alteno, ma con 1 giornata e 80 tavole e un generico alteno, con trasferimento di quest’ultimo sul registro di brunetus de ruvore, che però è lo stesso della giornata e 80 tavole, anche presso Antonio Mazoco l’indicazione è sempre generica: oltre Po. Comunque non interferisce con il 1363.
Successivamente una aggiunta ulteriore, diversa dalle precedenti, porta la data 1365 (forse era stata scritta prima delle precedenti): aditum fuit huic registro pro iornatis XII iacentibus in primo fine in chologneto cui coherent philipponus clericus et stephanus volveria summa lire 12 (1 lira per giornata, di terra, anche se non c’è scritto, in cologneto) aquissite a mateo (probabilmente, per quel che è scritto sotto) mi o in poi illeggibile. Si tratta di matheus mocius in M., 62, n° 1994, 34v.. non interferisce con il 1363.
Infine, ancora un’aggiunta, item pro iornatis IIIIor tabulis XX terre altinate ad bastiiam (per bastidam) cui coherent nicolinus malcavalerius et anthonius mazochus aquissitis a predicto mateo summa libre V solidi V. (si tratta sempre di matheus mocius, ibidem, n. 2000 e 2001 (105 soldi per 4,2 giornate, 25 soldi per giornata).
Melanus bozellus, D. 23v., è aggiunta alla somma finale quia habitator
Giurardus tabernarius, D. 24v., domus per imposta di lire 1 10 soldi
Alaxona filia peroneti portavini, D. 31r., 3 giornate e 60 tavole di terra, per un’imposta di 1 lira e 16 soldi (1,0555 a giornata)
Thomas et Iohannes bernardi, D.38r., domus 2 lire e 13 soldi (in parte) e domus 1 lire e 15 soldi di imposta
Anthonius tondus marcerius de alpignano, D. 43r., ha sette lire per gli immobili e 13 lire per il capitale, per di più dichiara se habere in modica mercaria et aliis deratis stimans valoris libras decem viannenses e viene tassato per tredici (non si tratta di un’imposta patrimoniale, ma di un’imposta su reddito presunto sulla base del patrimonio o del capitale investito)
anthonius de lafrayta de montecuco mercerius, D. 43v., dichiara solo l’attività di mercante (habet in capitale in sua apottheca marcerie detractis pluribus debitoribus quibus ipse anthonius dare debet tam in taurino quam aliunde libras quatraginta viannenses, quindi capitale netto) e viene tassato per 7 + 1 lira, totale otto lire.
petrus gastaldus caligarius, D. 44v., è tassato per sette lire senza aditum, mentre garinus caligarius de ripayrolio, D. 45 r., è tassato per 7 + 5, totale 12 lire (forse che c’entra la provenienza?)
martinus filius condam sachi piscatoris, D: 46r., denuncia solo l’ayvaivum, quindi solo l’attività di pesca, 7+ 3, totale 10
rubeus borgesius, D. 46v., dichiara solo attività mobiliari (in mobili in eius taberna tam in denaris deratis quam in multis pravis debitoribus libras triginta) e viene tassato (summa huius registri est cum mobili summa adito per sapientes iuxtam formam capitali libras septem)
conraotus de montealto, D. 49 r., aggiunta una domus per 4 lire d’imposta
nicolaius et bertolomeus de aynardis, D. 51r., venduta un domus per 6 lire e 10 soldi d’imposta
nicolaius et bertolomeus de aynardis, D. 52r., cedute 4 giornate di prato irriguo al Valentino, per 4 lire d’imposta
idem, D. 53v., 5 lire per 10 giornate di bosco minuto in badeo (mezza lira a giornata)
idem, una domus, lire 4, soldi 10, denari 8
biatrixina filia condam melani de campacio, D. 61 v., una casa per 2 lire d’imposta nel a366
perinus taborninus, D. 62r., domus 1 lira e 25 soldi d’imposta per una domus
michael campionus, D. 65 r., 3 lire 2 soldi e 6 denari d’imposta per una casa
iohanninus de cantore, D. 69v., 2 lire d’imposta per 4 giornate di terra per viam de lapra
guiglelmus pellizonus et andreeta eius uxor, D. 78r., l’intera proprietà dei fondi rurali (9 + 3,5+ 1,25+2,5 giornate di terra, variamente dislocate) sembra venduta a matheus mozius (come corrisponde abbastanza dal registro del 1369), per la somma d’imposta di 4 lire, 10 soldi e 6 denari (circa 6 soldi a giornata, se come potrebbe apparire la vendita riguarda solo la prima e l’ultima delle proprietà, allora l’importo dell’imposta sarebbe di circa 8 soldi a giornata)
stephana uxor nicoleti pentenerii condam, 10 lire d’imposta (con dubbio sull’ammontare) per la cessione a stulino
fredelicius ruata lissa, D. 83 v., 8 soldi d’imposta per un ortale di 20 tavole (40 soldi a giornata)
martinus tintor et georgius eius frater, D. 84v., sono defalcate dalla somma totale 6 lire per sei giornate di terra (1 lira a giornata)
ricardinus de broxulo et philipponus bonifacionus et franceschellus eius fratres, D. 85v., 2 lire per due giornate di terra in Vanchiglia (1 lira a giornata), l’aditum di 2 lire per le giornate in Vanchiglia non l’ho considerato.
leoneta uxor condam thome polastri et maynardus et mussus filii sui, D. 88r., 2 giornate di terra altinata 2 lire e 10 soldi (25 soldi a giornata)
anthonius et iohannes boszacii de levono, D. 91r., lire 3 e 13 soldi per una casa
iacobus borgexius, M. 5v., 10 giornate di bosco minuto per 5 lire di imposta (mezza lira a giornata)
anthonius saxe, M. 10r., per 7 giornate di terra in porchaira, l’imposta ammonta a 1 lira e 15 soldi (5 soldi per giornata)
iohannes surdus, M. 13r., 1 lira per una giornata di vigna in fenestrelle (1 lira per giornata)
bartolomeus garda, M. 13v., una casa per 8 denari e 20 tavole di ortale per 8 soldi (40 soldi a giornata)
sibilia de canibus hereditario nomine anthonii canis, M. 17r., 3 giornate di bosco minuto, soldi 10 (3,33 soldi a giornata), 1 o 1,5 giornata di terra in vanchiglia, 5 soldi (5 soldi a giornata o 3,33 soldi a giornata, 4 giornate di terra a petraficha, 20 soldi (5 soldi a giornata), una pecia di bosco oltre Stura, manca la superficie, soldi 20, gravata anche di fitto
franceschinus de gilio, M. 19v. e 20r., domus cum edificis tectis curte e ayra, lire 4
raynerius de marrocho, M. 22r., 5 giornate di terra in ultimo fine, 1 lira e 5 soldi (5 soldi a giornata)
anthonius vaudayna, M. 22 v., una casa per una lira e 1 soldo
bertinus trogletus, M. 24v., per una domus cum ayra, a margine, libra I solidi XI denari VII. Item pro parte sua dicti registri solidi IIII et denari V. summa libra I solidi XVII
bertholomeus tabula, M. 31r., 1 giornata di bosco in sargnasco, 5 soldi (5 soldi a giornata)
matheus mozius, , M. 34v., 12 giornate di terra in cologneto, 12 lire (1 lira a giornata)
Idem, 4 giornate e 20 tavole di alteno (altini, non terre altinate), 5 lire e 5 soldi (25 soldi a giornata), alla bastida
ludovicus de cavaglata, M. 36r., 2 giornate di vigna in valpiana, due lire (1 lira a giornata)
idem, M. 36v., 2 giornate di vigna e 2 giornate di bosco in simberga, per lire 4 e 10 soldi (22,5 in media per giornata (probabilmente 25 per la vigna e 20 per il bosco)
iohannes bonusvexinus, M. 37r., 1 giornata di vigna in patoneria, 2 lire (2 lire a giornata)
elena uxor condam michaellis de la manfrea eiusque filius georgius, 2 giornate di terra in Vamchiglia, 2 lire (1 lira a giornata)
iohannes naturalis condam gaderini iappe, M. 50v., una domus lire 4 e 5 soldi, importante a margine è riportato il valore presumibilmente dell’imposta, libras IIII solidos V, che con una tratto di penna è raccordato ad una breve nota in calce (la dichiarazione è l’ultima della pagine) e quindi l’aggiunta in calce appare come una riga finale della dichiarazione, che riporta exstimata libras octuaginta, quindi l’imposta per gli immobili sarebbe stimata nel 5,31% del valore, domum, aggiunta in calce exstimata librarum octuaginta e apparente collegato da un tratto di penna a margine libras IIII solidos V, che consentirebbe di stimare nel 5,3% l’imposta.
Idem, 1 giornata di vigna in montevetulo, 2 lire (2 lire a giornata)
Idem, 1 giornata di alteno (altini, non terre altinate), prope pontis padi, gravata di fitto annuo di sei denari monete curentis, per 25 soldi (25 soldi a giornata)
Idem, 5 giornate di terra a San Salvatore, per 2 lire e dieci soldi (10 soldi a giornata)
Idem, 9 giornate di terra in dicto fine (San Salvatore), per 4 lire e 10 soldi (10 soldi a giornata)
Idem, M. 51r., item consignat debitum unum quod habere debebat dictus garderinus condam eius pater a iacobo carello cui deportavit librarum decem viannenses quod debitum est summo carum florinorum quinque auri seu librarum IX viennenses, importante: quindi 1 fiorino = 1,8 lire di vienne
iacobus tabula filius utine tabule, M. 63r., 2 giornate di terra in via pellizoni, in ultimo fine, 10 soldi (5 soldi a giornata)
idem, M. 63v., 2 giornate di prato e bosco minuto, in parvo butono, ultimo fine, 1 lira (10 soldi a giornata)
iacobus filius condam bertini de gilio, M. 68r., 4 giornate di prato in roncho, 2 lire (10 soldi a giornata)
idem, 2 giornate di terra, in petraficha, in ultimo fine (desunto), 10 soldi (5 soldi a giornata)
idem, 6 giornate di terra, in petraficha (desunto), 2 lire (6,66 a giornata)
bertholomeus et villelmus dictus maga de nechis, M. 76v., 2 giornate di vigna, 1,5 giornate di bosco, 5 giornate di terra aratoria, 1 giornata di goretum, il tutto per 7 lire, 12 soldi e 6 denari
anthonius rossetus, M. 103 r., 28 tavole di vigna e 1,5 giornate di bosco, in bonevilio, lire 2 e soldi 13 (circa 30 soldi a giornata in media).
bertholomeus papa, N. 4v., 2 giornate di vigna e 1,5 di gerbo, in costa mora, per 4 lire, 12 soldi e 6 denari (in media, circa 25 soldi a giornata)
idem, una pecia di cinque giornate di terra con modico goreto di circa una giornata, in Vanchiglia, 4 (anche se è scritto IIIor) lire, (16 soldi a giornata).
iacobinus prandus, N. 14v., 16 giornate di prato e 2,5 di terra, per 8 lire, 12 soldi e 6 denari (per 9 soldi circa a giornata in media)
francescus filius condam anthonieti becuti, N. 33v., 4 giornate di bosco, soldi 20 (5 soldi a giornata)
riçardus becutus, M. 35r., 16 giornate di prato e 2,5 giornate di terra, in valdrata, per librarum octo solidorum XII dinariorum VI (9 soldi circa in media a giornata)
idem, domus cum area, librarum tres
anthonius filius iacobini de portanova, M. 51r., 3 giornate di prato in vecelino, per 1 lira e 10 soldi (10 soldi a giornata)
anthonius becutus dictus comes, 2,5 giornate di terra, in coleascha, 1 lira e 5 soldi (10 soldi a giornata)
iohannes de ripayrolio, 2 giornate di vigna e 2 giornate di bosco, in simberga, lire 4 e 10 soldi (22,5 soldi a giornata)
andreas ruata, M. 67v., una domus che paga 4 soldi di affitto perpetuos alla ecclesia sancti andree, a margine pare ci sia scritto lire XL, se 40 è il valore dell’immobile e 4 soldi sono l’affitto annuo, l’affitto è il 5%.
iorgius panparatus, N. 74r., 1 giornata di vigna e 1,5 giornata di bosco, in patoneria, per 1 lira e 17,5 soldi e mezzo (circa 15 soldi in media a giornata)
alena uxor condam borelli carelli, 2 giornate di terra in stirascho, per 1 lira (10 soldi a gironata)
iohannetus pamparatus, N. 77r., 1 giornata di vigna e 1,5 giornata di bosco, in patoneria, per 1 lira e 17,5 soldi e mezzo (circa 15 soldi in media a giornata), e la stessa di iorgius panparatus
stephanus de solayrolio, N. 82v., una domus per 1 lira e 10 soldi
iacobus ruata, N. 86v., 80 tavole di vigna alla bastida, per 1 lira e 12 soldi (40 soldi a giornata)
henrietus de ruata, N. 88r., ma in realtà da assegnare a Petrus, 2 giornate di terra in via pellizoni, per 20 soldi (10 soldi a giornata) e 2 giornate di misto (terra, prato e bosco) in parvo burono, per 1 lira (10 soldi a giornata)
nicholoxius speciarus, P. 1r., una domus 20 lire, una bancha becharie 3 lire
idem, 2 v., alcuni solo illeggibili o non completi, 3 giornate di terra in san salvatore, 3 lire (20 soldi a giornata), 4 giornate di terra in via barberini 2 lire (10 soldi a giornata), 1,5 giornata di terra a montevetulo 1 lira e 10 soldi (20 soldi a giornata), 8 giornate di terra in via barberini 4 lire, (10 soldi a giornata), 10 gornate di terra al paschum magdalene 5 lire (10 soldi a giornata), mezza giornata di ortale con cloerie plantate 1 lira e 5 soldi (50soldi a giornata), 5 giornate di bosco ai ponticelli 1 lira e 5 soldi (6 soldi a giornata), 1 giornata di bosco minuto in san gilio 5 soldi (5 soldi a giornata), 100 lire in capitale nella speciaria 17 lire (17%), nelle successive 125 lire non è indicato più alcunché (la percwentuale potrebbe diventare allora il 7,5%)
paganinus borgexius, P. 5r., ayrale in Viarbis, a margine, estimatum fuit per sapientes ad libras vigintiquinque et ad taleam solvendam libram unam, l’imposta sarebbe del 4%, sembra credibilmente comprendere oltre che l’ayrale (anzi l’ayrale pare debba essere considerato come una specie di cascinale) 30 giornate di terra e riviera, 20 giornate di terra, 5 giornate tra clapeto e goreto, 60 giornate di terra gerba.
Idem, c’è anche un complicatissimo scambio di beni fra Paganino Borgesio e Vieto Becuto
anthonius alpinus dictus zabo, N. 7r., una domus per 8 lire
idem, domus per 1 lira e 15 soldi
idem, N. 7v., 9 giornate di prato in Coleasca, 22 lire e 10 soldi (poco più di 20 soldi a giornata)
idem, domus per 1 lira e 10 soldi
idem 1 giornat di vigna in valpiana, lire 2 (2 lire a giornata)
idem, una domus, 10 soldi
henricus et bertholomeus fratres de cornagla, N. 9r., 2 banche becarie 6 lire (3 lire a banca)
idem, una domus lire 4 (questa casa passa di mano: a margine, posita est super registro cornali tabernarii inoltre dopo la somma totale defalcatum est de presenti registro pro domo qua fuit posita super registro cornalli tabernerii libras quatuor, aliam domum, tra le coerenze putarna o putarva, a margine posita est super registro cornali tabernarii, valore imposta desunto da quanto scritto in calce 4 libre).
anthonius mazochus, N. 17v., mutate sunt super registro alaxone amaxie magistri rizardini condam et assendit libra I et solidi XVI, 1 giornata e 24 tavole di terra in Colleascha, per 1 lira e 16 soldi (29 soldi a giornata)
idem, 12 giornate di terra in via tabuleti,
anthonius grandus, N. 23v., due banche becharie, ma sono le stesse di prima, 6 lire
nicholetus calcagnus, N. 33r., medietas domus per 3 lire
ardicionus de gaxino, N. 37r., mezza giornata di vigna in sanctus vitus, per 1 lira (2 lira a giornata)
vietus becutus, 56 v., in clausum rossignoli, c’è la descrizione delle proprietà e poi a margine la modificazione: a margine, mutate sunt … iornate LX terre et iornate X goreti et riperie cum ayrale in regsistro paganini borgexii cum iornatis III prati sici cambiatis in aliis possessionibus eciam mutate in registro dicti vieti et de prdicto cambio conveneverunt inter sese dicte partes que de summa dicti vieti minuat in summa dicti paganini libre duodecim, (inoltre, in fondo alla pagina poi c’è anche un’integrazione che pare sospesa: aditum fuit in huic registro que o quod ipsa cambiavit paganino borgexio ut supra primo iornate sex) potrebbe essere interessante confrontare la prima con la seconda e con le rettifiche presso paganino e vedere la differenza, qui mi pare già significativo che nella dichiarazione si parla di ayra, tectum, domus e nella integrazione a margine di ayrale
bertholinus alpinus, N. 64v., medietatem unius palacii sive domus divissa cum zabo alpino, a margine libras II, una domus lere 4, 1 giornata di vigna in frengum per 1 lira 6 soldi e 8 denari (39,33 soldi a giornata), 1 giornata di alteno, 1 di vigna, 1 di prato, 1 di bosco, tutte in padisio simul tenentes, per 5 lire ((25 soldi in media a giornata), 2 giornate di vigna in patoneria per 2 lire (20 soldi a giornata), se debere habere a iacobino bagloto florinum unum auri in corrispondenza solidos V (prestito, 5 soldi per fiorino), 4 vacche per due lire (10 soldi a vacca), se debere habere in munatis sue apotheche circa florinorum IIIor auri a cui corrisponde un’imposta di libra I (al posto di munatis (vedi munata in DC) potrebbe essere numatis)
ardicio filius condam domini anthonii alpini, N. 76r., quasdam alias domos ayralia et cortinicia, a margine, caleta …pro medietate dicti ayralis domibus quas vendidit antonio alpino dicto zabo libras X solidos viannenses
idem, 79v., 9 giornate prati sici in colleasca, per 22 lire e 10 soldi (50 soldi a giornata)
franceschinus filius condam anthoni de corvexio, N. 91r., in calce, 1364, aditum fuit huic registro pro duabus banchis becharie aquisitis et calletis de registro henrieti et bertolomei cognati (forse, per consanguinei vedi DC) cornagla libre sex, poi, mutate predicte banche in registro anthoni grandi 1366 … libre VI ( sono sempre le stesse banche
iacobus novole, P. 94r., 1,25 giornate di vigna in san martino per 2 lire e 10 soldi (40 soldi a giornata)
stephanus dictus rebollinus, P. 112 r., 1 giornata e 27,5 tavole per 4 lire 2 soldi e 6 denari, (poco meno di 65 soldi a giornata) vedi anche in altra occasione
Lettera agli studenti 2022
Carissime/i,
Uno degli appuntamenti annuali dei miei scambi con voi era il fiorire delle magnolie, che coincide più o meno con la festa della Donna dell’8 marzo.
Viviamo però in momenti di grandi cambiamenti.
Non avrei mai pensato di assistere nella mia vita ormai ultra settantennale alla presenza di due Papi contemporaneamente, né che l’Unione Sovietica potesse scomparire dalla faccia della terra, sciogliendosi come neve al sole, né che ritornassero a soffiare venti di guerra in Europa, né che le Twin Tower venissero abbattute nel modo in cui lo sono state, né che scomparissero le monete nazionali tradizionali e venissero sostituite dall’Euro, né che il Bitcoin potesse comparire negli scambi internazionali, né che i tassi d’interesse praticati dalle Banche Centrali fossero prossimi allo zero o addirittura negativi, né che la Cina, questo “gigante addormentato”, diventasse una potenza economica mondiale nell’arco di una generazione, né che si potessero clonare animali, né che scoppiasse una pandemia globale come il Covid-19, e chi più ne ha più ne metta, né, si parva licet, di vedere la Juventus giocare in serie B (a scanso di equivoci, con mia grande goduria).
Un mondo che cambia così rapidamente da lasciarci senza fiato, ansimanti.
Tutto pare cambiare, anche il clima.
Ed è per questo che ho decisi di scrivervi in anticipo: c’è il rischio di veder fiorire le magnolie in pieno inverno e non voglio lasciarmi prendere in controtempo, così vi scrivo per San Valentino.
L’occasione mi è stata data dall’ultimo mio scritto. Molti di voi hanno chiesto mie notizie. Non potendo rispondere a ciascuna/o, come dovrei, ho deciso di inviare un’enciclica.
L’età della pensione, per me, non è stata un’epoca di quiete, di dolce far niente, tutt’altro: è stata un’età controversa, caratterizzata dall’inequivocabile fatto della decadenza fisica, dall’apparire dei malanni tipici, che limitano l’agibilità del corpo, ma unita, al contempo, dalla crescita della curiosità intellettuale di comprendere. E ciò aggiunge tormento al passare dei giorni, perché, come l’Aléxandros del Pascoli, pur non avendo le pupille bicolori, la mia sorte è quella stessa: «nell’occhio nero lo sperar, più vano;/ nell’occhio azzurro il desiar, più forte».
Vivo, come sempre ho fatto, il presente, senza pensare al futuro, ma ora con l’amara consapevolezza, che il futuro non mi appartiene: non riuscirò a soddisfare le mie curiosità. Le risorse sono limitate e le sto esaurendo, i desideri sono illimitati e, anzi, crescenti.
Perciò non vado per cantieri.
E alla vostra domanda su come sto non posso che rispondere: “normalmente bene”, anche se preferirei poter dire norbenmente bene.
Vi ringrazio tutte e tutti per l’affetto che mi dimostrate e spero di poterne godere a lungo.
Alla prossima e ricordatevi della magnolia, Carlo Pigato.
Seconda lettera agli studenti 2022
Viviamo momenti difficili in tempi drammatici e per molti tragici: da un lato la pandemia, che ci ha colpiti e che insiste ancora con le sue varianti (i morti ad essa attribuiti quotidianamente continuano ad essere nell’ordine di grandezza delle centinaia), dall’altro, la guerra in Ucraina (l’intervento militare speciale della Russia in quel Paese), con le conseguenti migliaia di morti, feriti, dispersi, sfollati.
Che ricordo avranno della loro infanzia, adolescenza, giovinezza i miei “nipoti”, naturali o immaginari: i figli dei miei figli e i figli dei miei allievi d’antan?
Val pusè na bóna làpa, che na bóna sàpa. (Vale più avere una buona lingua, che una buona zappa)
– A taula s’ven nen vec. (A tavola non si invecchia)
– Ghè mia na bèla scarpa, c’la divénta mia na sciàvata. (Non c’è una bella scarpa che non diventi una ciabatta)
L’avar l’è pej del crin, l’è mac bun dop mort. (L’avaro è come il maiale, è buono solo dopo morto)
– J’arme dle dòne a sun la lenga j’unge e le lacrime. (Le armi delle donne sono la lingua le unghie e le lacrime)
– Dentura rada, fortun-a s-ciassa. (Dentatura rada, fortuna folta)
– A l’é mej sté citu, che di d’fularià. (E’ meglio stare zitti, che dire sciocchezze)
– Ël furmagg a disnè l’è or, a marenda argent, a la seira piumb. (Il formaggio a pranzo è oro, a merenda argento, a cena piombo)
– A l’è brùt a serve, ma pì brùt fese serve. (Triste servire, ma più triste farsi servire)
– Doe fomne e n’òca a fan ‘n mercà. (Due donne e un’oca fanno un mercato)
– Le busie a sùn cùm j sop, c’a s’cunosu da luntan. (Le bugie, come gli zoppi, si distinguono da lontano)
El diau a l’è gram perché è veg. (Il diavolo è gramo perché è vecchio)
– La murusa a l’é lait, la spusa l’lé bur, la fumna l’é furmagg dur. (La fidanzata è latte, la sposina è burro, la moglie è formaggio duro)
– L’om sensa fumna a l’é ‘n caval sensa brila, e la fumna sensa l’om a l’é na barca sensa timun. (L’uomo senza donna è un cavallo senza briglie, e la donna senza uomo è una barca senza timone)
– A fa bel fèse larg cun la roba d’j autri. (Comodo farsi strada con le cose degli altri)
– Da ‘n sac ‘d carbun, peur nen sorti ‘d la farina. (Da un sacco di carbone non può uscire la farina)
– A-i va régola e mësura fin-a a bèive l’eva pura. (Ci vuol regola e misura persino nel bere l’acqua pura)
– Chi a l’ha nen cura du su caval a merita d’andé s pè. (Chi non ha cura del suo cavallo, merita di andare a piedi)
– A l’è mei n’amis che des parent. (E’ meglio un amico che dieci parenti)
Cun d’ stras e d’ tacùn s’anleva un bel matùn. (Con dei cenci e con qualche rattoppo, si tira su un bel ragazzo)
Detti piemontesi
– Chi a l’à vedú Turin e nen la Venaria l’à cunusú la mare e nen la fia. (Chi vide Torino e non La Venaria conobbe la madre e non la figlia)
– As peur nen beivi e subiè. (Non si può bere e fischiare)
– Chi pasa Po pasa Doira (Chi passa il Po può passare anche la Dora. (Cioè chi supera una grande difficoltà, può superarne anche una piccola)
– Gnanca i can a bogio la coa par gnent. (Neanche i cani scodinzolano per niente)
– Firb cmè Gribùja che pri nen bagnase a s’ascundiva ant i ariane. (Furbo come Gribuglia che per non bagnarsi si nascondeva in un ruscello)
– Ël vin pì bun al’è cul ch’as beiv cun ij amis. (Il vino più buono è quello che si beve con gli amici)
– Ij fieuj a son come ij dij dla man: a nasso da l’istess pare e da l’istessa mare ma a i na j’è nen un midem. (I figli sono come le dita della mano: nascono dallo stesso padre e dalla stessa madre, ma non ve n’è uno uguale all’altro)
Al ris al nassa int l’aqua e ‘l mora int al vin. (Il riso nasce nell’acqua e muore nel vino)
– Ij fieuj a son na cavagna ‘d fastidi e en sestin ed piasì. (I figli sono un canestro di fastidi ed un cestino di piaceri)
– A l’è mac le muntagne c’a s’ancuntru nen. (Soltanto le montagne non s’incontrano)
– Chi ch’a l’è sempre malavi a l’è l’ultim a meuire. (Chi è sempre ammalato è l’ultimo a morire)
– S’ at veuri vivi e sta san, dai parent statne lontan. (Se vuoi vivere sano, dai parenti stai lontano)
– Al mund l’è cùmè l’arca da Noè, tonti besci e pooch òman. (Il mondo è come l’arca di Noè, tante bestie e pochi uomini)
– Ij vissi s’amparu sensa maestro. (I vizi si imparano senza maestro)
– A costa ‘d pì a esse cativ che a esse brav. (Costa di più essere cattivo che essere bravo)
La pulenta a fa quatr mesté: a serv da mnestra, a serv da pan, a ‘mpiniss la pansa e a scauda ‘l man. (La polenta fa quattro servizi: serve da minestra, serve da pane, riempie la pancia e scalda le mani)
– Chi sent e tas, a god tut ‘l mônd an pas. (Chi sente e tace si gode tutto il mondo in pace)
– As comensa a meuire quand as nass. (Si inizia a morire quando si nasce)
– Piemontèis fàuss e cortèis. (Piemontese falso e cortese)
– Se ij desideri a bastejsu, ij pover andrejvu tuti an carosa. (Se bastassero i desideri, i poveri andrebbero tutti in carrozza)
Proverbi piemontesi
– Tre cuse duluruse ‘nta famija: ‘l furnel c’a fuma, ‘l cuert c’a pieuva, la fumna c’a crija. (Tre cose sono dolorose in una famiglia: il camino che fa fumo, il tetto che lascia passare la pioggia e la moglie che strilla)
– Lòn ch’às fa per ij fieuj as fa nen per gniun ‘d ij autri. (Ciò che si fa per i figli non lo si fa per nessun altro)
– Le bele fomne a l’an sempre rason. (Le belle donne hanno sempre ragione)
L tort a treuva mai d’alogg. (Il torto non trova mai l’alloggio)
– A l’é pu facil spusese mal, che mangè ben. (E’ più facile sposarsi male, che mangiar bene)
– L’aja l’è le spessiàri d’i paisan. (L’aglio è il farmacista dei contadini)
– Due nùs ant un sac e due done ant cà a fan un bel fracass. (Due noci in un sacchetto e due donne in una casa fanno un bel fracasso)
– Amor e merda a son doe canaje: una a mangia el cheur e l’àutra le muraje. (Amore e merda sono due canaglie: una corrode il cuore, l’altra i muri)
– Önca l’àcua sönta misciaa cùm la tèra sönta, la fà paciòc. (Anche l’acqua santa mescolata con la terra santa forma fango)
– Par paghè e mori j’è sempar temp. (Per pagare e morire c’è sempre tempo)
– Ai pulitich gh’intarèsa la sgent, cùmè ai pülas i cöögn. (Ai politici interessa la gente, come alle pulci i cani)
Ij brigant at pio la borsa ò la vita, la dòna at je pija tute e doe. (I briganti ti prendono la borsa o la vita, la donna te li prende tutte e due)
– L’aso ‘d Cavor as lauda da sol. (L’asino di Cavour si loda da solo)
– A s’sa duv’a a s’nas ma a s’sa pa ‘nduv a s’meuir. (Si sa dove si nasce ma non si sa dove si muore)
– A ogni vì in pal, a ogni fumna ‘n om. (Ad ogni vite un palo, ad ogni donna un uomo)
– A-i-è nen ‘d pi bel che ‘na facia cuntenta. (Niente é più bello che una faccia contenta)
– Na ca sensa fomna a l’è na ca senssa lanterna. (Una casa senza donna è una lanterna spenta)
– A la Pifania i dì s’ lungu ‘n pas d’ furmia. (All’Epifania, con passo da formica i giorni s’allungano)
– A-i è gnun malan pes che na fomna grama. (Non c’é peggior malanno di una cattiva moglie)
Prima a Mortara, peui a Fossan e peui a Marsija. (Prima a Mortara, poi a Fossano e poi a Marsiglia)
– La cativa lavandera a treuva mai la bon-a péra. (La cattiva lavandaia non trova mai la buona pietra)
– L’ vin a l’e’ bon quand l’osta a l’e’ bela. (Il vino è buono quando l’ostessa è bella)